Più di un secolo fa un’intera classe di scienziati venne abbagliata dalla falsa scoperta dei raggi N, ad opera del fisico Blondlot (grazie a 06Scienza). Ecco come sono andate le cose.
L'inizio di una falsa scoperta
Immaginate di essere uno scienziato e di vivere nei primi anni del Novecento. Da qualche anno, intorno al 1895, sono stati scoperti i raggi X e i raggi Gamma. I raggi X in particolare sembrano davvero promettenti. Già nel 1896 sono stati pubblicati numerosi articoli scientifici a riguardo e ipotizzate le prime possibili applicazioni in medicina. Per questa scoperta, il fisico Wilhelm Röntgen si è da poco meritato anche il premio Nobel per la fisica. Insomma, il campo appare estremamente fertile, possibile che esistano altri tipi di raggi?
Un ragionamento di questo tipo deve avere navigato nella mente di numerosi scienziati, come René Prosper Blondlot, fisico francese che stava studiando i raggi X e che durante un esperimento credette di aver trovato un nuovo tipo di radiazione, ancora sconosciuta. Era il 1903.
Inizio e fine di una cantonata
La scoperta di un nuovo tipo di raggi non sorprese gli scienziati, anzi: essi erano in attesa di nuove scoperte nell’ambito e molti diedero ascolto alle descrizioni di Blondlot, che pubblicò un rapporto descrittivo su quanto aveva trovato. I raggi vennero chiamati da Blondlot raggi N, in onore della città francese Nancy, dove Blondlot viveva e lavorava. Il caso aveva in effetti acceso l’orgoglio francese, dal momento che i già famosi raggi X erano stati scoperti da un tedesco.
Ma cosa aveva trovato?
Al tempo le strumentazioni, per quanto avanzate, erano suscettibili di errore. Blondlot infatti basava la sua teoria su una lieve differenza di luminosità o altre piccole differenze spesso di difficile rilevazione. Secondo Blondlot e numerosi altri scienziati i raggi N aveva alcune proprietà particolari: emessi da quasi tutti i corpi, potevano essere polarizzati, riflessi e rifratti e attraverso un prisma di alluminio era possibile far brillare un filamento rivestito di solfuro di calcio fluorescente.
In pochi mesi furono pubblicati decine di articoli, anche su riviste scientifiche prestigiose, sulle possibili applicazioni dei raggi N; allo stesso tempo alcuni scienziati iniziarono a mostrarsi scettici, dal momento che non riuscivano a replicare i risultati.
Uno di questi scienziati, il fisico statunitense Robert Wood, era particolarmente interessato all’argomento e andò personalmente da Blondlot per verificare l’ipotesi del francese. Tutti gli esperimenti svolti da Blondlot non convincevano Wood che continuava a non vedere segni chiari della presenza dei raggi N. Ebbe così un’intuizione, dovuta al suo carattere scherzoso: mentre Blondlot era distratto nascose il prisma e fece ripetere l’esperimento. Quando Wood si accorse che Blondlot continuava a vedere i raggi N anche senza il prisma capì che probabilmente Blondlot si stava immaginando tutto. Poco più tardi, nel settembre 1904, Wood mandò una lettera a Nature in cui concludeva che i raggi N non esistevano.
Fu il colpo di grazia per i sostenitori dei raggi N, per lo più francesi, anche se per mesi cercano di autoconvincersi delle loro argomentazioni, arrivando perfino a dire che solo i francesi erano in grado di vedere i raggi N. Sotto il peso delle evidenze scientifiche, però, dovettero arrendersi e nel giro di pochi mesi tutti gli scienziati erano concordi nel dire che i raggi N non esistevano. Tutti meno uno. Blondlot, infatti, era ancora convinto che i raggi N esistessero e che gli altri scienziati lo volessero screditare. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1930, continuò a sostenere la bontà dei suoi esperimenti.
La scienza può essere patologica
Cosa si può imparare da tutto questo? La vicenda dei raggi N non è solamente la storia di un pazzo con idee assurde, ma di una cantonata presa collettivamente dagli scienziati che si aspettavano una scoperta e ci hanno creduto. Alcuni di questi, in particolare Blondlot, sono caduti addirittura in quella che oggi viene definita come “scienza patologica”, ovvero quel particolare meccanismo per cui uno scienziato è talmente innamorato dalla propria teoria da non riuscire a vedere la realtà. Il termine, coniato nel 1953 dal Premio Nobel per la chimica Irving Langmuir, fa riferimento a quelle idee da cui non ci si riesce proprio a liberare, nonostante le evidenze scientifiche.
Non si tratta di inganno o frode, ma di persone che in buona fede sono convinte della bontà delle proprie teorie e non accettano che vengano sconfessate. Nei casi più estremi, come accadde a Blondlot, gli scienziati affetti da scienza patologica si chiudono in sé stessi e iniziano a credere erroneamente di non essere capiti ed essere perseguitati, come in un grande complotto.
Questa storia particolare, quindi, ci insegna come gli scienziati possano sbagliare e come la comunità scientifica sia in grado, sia pur con un po’ di ritardo, di autocorreggersi e di limitare le “derive” del singolo.
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